Campionato 1984-85: La prima volta di Eriksson

Falcao ha chiuso

Si infortuna il brasiliano, giocherà solo quattro partite. E' stato ceduto al Milan Di Bartolomei. E' una Roma senza leader e senza carattere. E su una stagione grigia si innesta la polemica sulla gravità del malanno di Falcao

Dino Viola non è stanco, non sarà mai stanco: un mese prima di morire terrà i giornalisti impegnati un intero pomeriggio, a Trigoria, riducendoli a pesanti figure smorte, per la stanchezza e l'impatto con il vigore polemico del presidente. Quell'incontro infinito assumerà poi i significati di un addio, e questa sarà la parte più dolorosa di tutta la storia. N/on è stanco il presidente, all'inizio della stagione 84/85 che sarà la prima di Eriksson, però il Liverpool ha lasciato il segno. E' sfuggita la Coppa Campioni, che per i tifosi era un sogno ma per il presidente rappresentava un progetto preciso, il compimento di tutta la sua opera. Il progetto è fallito: Viola ha la consapevolezza, lucida e precisa, che l'occaione fallita sarà irripetibile. Non si arrende, ma le sue sue intuizioni lo avvertono che l' opera va ricominciata daccapo. Sarà Sven Goran Eriksson il pioniere, l'uomo della nuova frontiera? Ne possiede sicuramente la scienza, ne avrà la forza morale?
Viola ci crede, è obbligato a crederci. L'ingaggio di Eriksson assume improvvisamente significati dilatati, diventa una specie di scommessa. Ha bisogno di fortuna, il timido Sven, e invece tutto gli crolla addosso, subito e rovinosamente. Di Bartolomei intanto se ne è andato: è stato davvero un puntiglio del presidente, che ha fatto trovare l'allenatore davanti al fatto compiuto? Così raccontano le cronache, ma è difficile crederlo. E' difficile credere che Viola tanto si ostinasse nelI' allontanamento di Di Bartolomei proprio per prevenire l'allenatore, cioè per escluderlo dalla vicenda. Eriksson, è vero, fu presentato due settimane dopo la conclusione della Coppa dei Campioni, ma quella sera era lì, in tribuna Tevere, camuffato da spettatore qualunque: le trattative erano state concluse da un pezzo. E' quindi plausibile credere che Eriksson avesse approvato la cessione di Agostino. Tanto è vero che in extremis Viola tentò un recupero del giocatore: fu chiesta, pensate un po', perfino l'intercessione di un cardinale. Quello che accadde dopo dimostrò che la rinuncia al capitano fu un errore.

Manca un leader

Le sfortune di Eriksson furono rappresentate da una lunga serie di infortuni, uno dei quali risultò decisivo: quello di cui fu vittima Paolo Roberto Falcao. In quella stagione il fuoriclasse brasiliano giocò solo quattro partite, le ultime disputate in maglia giallorossa. L'inizio del viaggio verso la «nuova frontiera», piùaccidentato di così non poteva essere. Senza Agostino Di Bartolomei e senza Falcao, la Roma non aveva più un leader, un punto di riferimento. Non poteva esserlo Cerezo, che dal punto di vista caratteriale rappresentava l'opposto, non poteva esserlo Ciccio Graziani, impegnato ad assicurarsi un posto da titolare. Il nuovo leader era, o doveva essere, o poteva essere, Giuseppe Giannini, da ragazzo scherzosamente detto «paperella». Giannini passeràinvece alla storia come uno dei più controversi campioni che la Roma abbia avuto. Giocatore di grande livello tecnico, ragazzo di notevole spessore morale: quindi personaggio autentico. Però leader mancato, e non è certo una colpa. Ma è un peccato, perchè Giannini poteva diventare lIno dei «grandi» di sempre. Come Picchio De Sisti, con cui Giannini degnamente regge, sul piano tecnico, il confronto.

Si apre il caso Falcao

Il primo campionato della Roma di Eriksson, la Roma della «nuova frontiera», fu dunque attraversato dalla penosa vicenda Falcao. Penosa nei tormenti fisici sopporiati dal gioca'tore, penosa anche nei sui riflessi morali, perchè provocò laceranti situazioni emotive nei tifosi. La gente non riusciva a capire, non sapeva dove fosse la verità, a chi dovesse credere, Viola o Falcao. Erano due riferimenti insostituibili, agli occhi dei tifosi; e quei due punti fissi si erano messi invece in movimento, violentemente scontrandosi tra loro. Tutto era scaturito da un eccesso di diffidenza. Il ginocchio sinistro di Falcao aveva preso a gonfiarsi e a provocare intense fitte di dolore. Paolo Roberto aveva tentato di resistere, ma dopo la partita di Napoli, dodicesima giornata, 16 dicembre 1984, disse basta. Qui cominciò la sua diffidenza: pretese di farsi curare dai suoi medici di fiducia, in Brasile. Qui cominciò anche la diffidenza di Viola: ma Falcao in quali condizioni era, avrebbe recuperato o no? Proprio alla vigilia di quel campionato, la Roma aveva rinnovato il contratto al brasiliano: tre miliardi complessivi. AI solo pensiero che quella ingente somma potesse andare perduta, Dino Viola, gran signore ma amministratore parsimonioso e sensibilissimo, rischiò di prendersi un esaurimento nervoso. E raggiunse una rapida decisione, tenuta gelosamente segreta: se non si fosse ottenuta al piùpresto la garanzia assoluta del recupero di Falcao, la Roma avrebbe protestato il contratto. Tutta la cinica intelligenza di Viola, come poi risultò chiaro, fu da quel momento dedicata alla creazione di un «casus belli». Il presidente era un maestro: con i suoi cavilli regolamentari aveva più volte messo alle corde i sapienti del Palazzo. Trovò il pretesto, vinse la disputa in sede federale, non versò mai a Falcao i tre miliardi. Questa stralunata Roma giocò le prime otto partite di campionato senza vincere una sola volta. E'anche vero che raramente perdeva, ed infatti era stata battuta soltanto dal Milan, con gol indovinate di chi? del capitano ripudiato, Agostino Di Bartolomei: Nils Liedholm, che fesso non è mai stato, se lo era portato al Milan. Poi la situazione, si sbloccò, in un senso e nell'altro: qualche bella vittoria, qualche brutto capitombolo: e finì in un settimo posto da classico purgatorio romanista. Tra l'altro la Roma non fu capace di battere, nei derby di campionato, una Lazio che disputò il peggior torneo di tutta la sua biblica esistenza. Che il timido Eriksson avesse molte pene da soffrire, prima di potersi tuffare appieno in un'affascinante esperienza come quella romana, fu dimostrato anche dall'andamento delle Coppe, che segnalarono un fallimento su tutta la linea. In coppa Italia, la Roma cominciò sotto buoni auspici perchè riuscì nell'impresa fallita invece in campionato: quella di battere una Lazio senza capo né coda. Subito dopo però la Roma si fermò, perchè fu eliminata, negli ottavi di fmale, da un Parma che non aveva ancora visto la luce della serie A, raggiunta solo cinque anni più tardi. Peggio ancora: il Parma in quella stagione si sarebbe classificato 19° in serie B, così precipitando nella serie inferiore: la bella figura fatta contro la Roma, insomma, fu il suo premio di consolazione. Anche nella Coppa delle Coppe la Roma cominciò in modo promettente, eliminando la Steaua di Bucarest. Poi proseguì a spese del Wrexsam ma nei quarti di finale andò ad incocciare contro il Bayern di Monaco che si permise il lusso di strapazzare i giallorossi sia in casa (2-0) che all'Olimpico (2-1). Viola disse soltanto che la marcia verso la nuova frontiera continuava.

La città giallorossa

L'idea della «nuova frontiera» che avvicinava Sven Eriksson a Dino Viola, contemplava l'esistenza di una città giallorossa. Questi progetti risvegliavano però antichi tormenti del!'ingegnere, che per colpa della «cittadella»era stato sul punto di rinunciare alla sua straordinaria carriera di presidente. La Roma era titolare dei terreni diTrigoria, ultime dolci colline prima della pianura verso il mare. Li aveva acquisiti GaetanoAnzalone, cui non faceva difetto la capacità di elaborare ampi progetti per la Roma. Poi erano diventati una palla al piede, perchè le difficoltà finanziarie impedivano di portare a termine la costruzione degli impianti. Così Trigoria aveva costituito, per molto tempo, l'intoppo delle trattative tra Anzalone e Viola. Quando capì che non c'era soluzione, Viola decise di accettare comunque la presidenza e cominciò a elaborare un altro disegno: rifilareTrigoria a qualcuno. Il CONI per esempio, che avrebbe potuto destinare l'impianto a molteplici usi. Trattative in tal senso furono presto iniziate dall'infaticabile ingegnere e alacremente condotte.
Quando tutto sembrava.filare liscio, il CONI rinunciò. Viola ci riprovò con il Banco di Roma, ma stavolta il discorso si inoltrò subito in un vicolo cieco. Trigoria pesava: quanto pesava, e l'ingegnere sbuffava. Arrivò Eriksson con le sue esperienze di allenatore di grande club (aveva guidato il Benfica) e i suoi racconti incantarono il presidente, che prese la sofferta decisione: Trigoria sarebbe stata completata. Oggi la città giallorossa esiste.
davvero, comprende la sede sociale, impianti in continua espansione, e rimane elegantemente separata dalla città, che pur si è avvicinata. Forse la storia della Roma moderna comincia proprio da Trigoria. Certo il futuro passa da quelle parti, non ci sono dubbi.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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